sabato 22 febbraio 2014

Genitori e insegnanti si trovano sempre più spesso alle prese con bambini “difficili”. In quest’occasione pensiamo, in particolare, a quelli che esibiscono un comportamento oppositivo-provocatorio, che può iniziare a presentarsi già dai 3 anni ma che diventa in genere più evidente e “problematico” con l’ingresso a scuola, quando aumentano cioè le richieste di adattamento alle regole
 Partiamo da cosa non fare, ossia da alcuni “errori educativi” comuni, da evitare perché possono facilitare l’insorgenza  o il mantenimento di condotte oppositivo-provocatorie:
  • permissivismo: la mancanza di regole definite impedisce al bambino di capire quali saranno le risposte dell’adulto alle sue azioni;
  • incoerenza: alternare punizioni e ricompense senza una ragione chiara, lasciandosi condizionare dal proprio stato d’animo (piuttosto che dall’oggettivo comportamento del bambino) lo disorienta;
  • iperprotezione: il controllo genitoriale eccessivo ostacola la crescita socio-cognitiva del bambino che, insicuro, può reagire con atteggiamenti di ribellione e sfida dell’autorità adulta;
  • uso eccessivo delle punizioni: ponendosi come modello d’apprendimento, la punizione rafforza la tendenza del bambino a risolvere i conflitti e imporre la propria volontà attraverso l’aggressività.
E ora, cosa fare:
  • concordare e far rispettare poche regole chiare che tutti dovranno osservare in casa o a scuola,  evitando la forma negativa (es.:  “parlare a voce bassa” invece di “non gridare”);
  • preferire i premi (per i comportamenti positivi, anche piccoli, che conducono alla condotta desiderata) alle punizioni e darli in breve tempo, altrimenti l’effetto comportamentale svanisce;
  • scegliere le punizioni (comunque mai fisiche) solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri);
  • preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o usare il pc) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole);
  • ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”;
  • spiegare al bambino le motivazioni che rendono inadeguata la sua condotta, senza formulare giudizi (per non gravare sulla sua già bassa autostima) e suggerire modalità alternative indicandone i vantaggi;
  • individuare e agire sugli antecedenti del comportamento problematico (attenuare o modificare l’esposizione alle situazioni che normalmente conducono a comportamenti oppositivi).
Insomma, in sintesi, ogni comunicazione (regole, comandi, rimproveri) deve essere data nel modo più possibile diretto, chiaro e semplice, senza formulare giudizi sulla persona (per es. “avevamo stabilito questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito devi rinunciare a questo” invece di “sei stato cattivo, ora niente tv!”; oppure “bravo, hai apparecchiato la tavola senza fartelo ripetere due volte, ti meriti un premio”, invece di “bravo, oggi ti sei comportato bene”). Inoltre, è possibile pensare di strutturare un programma a punti, guadagnati e persi in funzione di premi e punizioni. In quest’ultimo caso, però, è particolarmente importante che l’adulto assicuri al bambino la massima coerenza e impegno nel monitorarne il comportamento. 
Questi “terribili” bambini hanno insomma bisogno di limiti chiari entro cui muoversi, di sperimentare che possono essere gratificati e ricevere riconoscimento (affettivo e sociale) quando agiscono comportamenti positivi e di aggregazione. Hanno cioè bisogno di aumentare la propria autostima attraverso la relazione con l’altro e la costruzione di legami duraturi su cui far affidamento (invece di distruggerli). In questo percorso gli adulti hanno un ruolo fondamentale. 

 
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